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Trasposizione giudizio verso la fine

 

Il Consiglio di Stato in sede consultiva ha rimesso lo scorso 16 Settembre alla Corte di Giustizia una questione che, se risolta positivamente, potrebbe comportare l’estinzione dell’istituto della cd. “trasposizione” del ricorso straordinario verso il giudizio ordinario.
Il sistema attuale invero prevede che una volta che un ricorrente abbia preferito proporre un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (ai sensi del D.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199), una qualsiasi delle controparti possa però chiedere/pretendere la trasposizione del giudizio in sede giurisdizionale. L’art. 48 del codice del processo amministrativo infatti stabilisce al primo comma che “qualora la parte nei cui confronti sia stato proposto ricorso straordinario ai sensi degli articoli 8 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199, proponga opposizione, il giudizio segue dinanzi al tribunale amministrativo regionale se il ricorrente, entro il termine perentorio di sessanta giorni dal ricevimento dell'atto di opposizione, deposita nella relativa segreteria l'atto di costituzione in giudizio, dandone avviso mediante notificazione alle altre parti”.
L'esercizio del diritto di trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario quindi, alla luce della normativa vigente, concreta un vero e proprio “diritto potestativo processuale”, nel senso che il ricorrente non può opporvi alcunché, ove ne ricorrano i presupposti di legge, salvo esercitare la facoltà di riassumere il processo dinanzi al TAR, a pena di decadenza.
Tale norma viene giustificata dal cd. “favor iurisdictionis”, fondato sul rilievo secondo cui, il procedimento di decisione del ricorso straordinario non era in tutto e per tutto assimilabile ad un procedimento giurisdizionale, dal momento che il Governo poteva disattendere il parere del Consiglio di Stato promuovendo un atto di alta amministrazione che si sostituiva all'originario parere, mediante una delibera del Consiglio dei Ministri (art.14, primo comma, seconda parte del D.P.R. del 1971 n. 1199).
Il Consiglio di Stato ha tuttavia osservato, sulla base di molteplici rilievi, che tale differenza ormai non pare più sussistere, dovendosi riconoscere piena natura giurisdizionale anche al giudizio che segue la proposizione del ricorso straordinario.
Per un primo aspetto invero, il richiamato art.14, primo comma, seconda parte del D.P.R. del 1971 n. 1199 è stato abrogato dall’art. 69, secondo comma, della L. 18 giugno 2009, n. 69, sicchè il Governo non può più sottrarsi agli effetti della decisione del Presidente della Repubblica.
A rafforzare la definitiva trasformazione in rimedio giurisdizionale del ricorso straordinario vi è, inoltre, il primo comma dell’art. 69 delle citata legge 69/2009, secondo cui il Consiglio di Stato in tale sede può sollevare questioni di legittimità costituzionale. E’ noto infatti che secondo l’art. 23, primo comma, della L. 11 marzo 1953, n. 87 “nel corso di un giudizio dinanzi ad una autorità giurisdizionale una delle parti o il pubblico ministero possono sollevare questione di legittimità costituzionale mediante apposita istanza”, sicchè solo le autorità giurisdizionali possono sollevare incidente di costituzionalità.
Altri elementi a favore della definitiva giurisdizionalizzazione del rimedio sono la sua sottoposizione al contributo unificato come per i ricorsi al TAR (art. 13, comma 6-bis, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, come modificato dall’art. 37, comma 6, lett. s), del D.L. 6 luglio 2011, n. 98), e la possibilità di esperire il ricorso in ottemperanza dell'esecuzione delle decisioni sul ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 112, commi 1 e 2, lett. b) e d), del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo), dal momento che la più recente giurisprudenza ha superato le perplessità in materia (Cassazione civile, Sezioni Unite, 28 gennaio 2011, n. 2065; Consiglio Stato, sez. III, 15 ottobre 2010, n. 4609 e sez. VI, 10 giugno 2011, n. 3513).
Va altresì segnalato che, secondo la giurisprudenza della stessa Corte di Giustizia dell’Unione Europea, quando il Consiglio di Stato, in sede Consultiva, emette un parere nell’ambito di un ricorso straordinario, esercita una funzione giurisdizionale ed è quindi un organo di giurisdizione ai sensi dell’art. 177 del Trattato istitutivo dell’Unione Europea (così Corte di Giustizia CE del 16 ottobre 1997, nei procedimenti riuniti da C-69/96 a C-79/96), ora art. 267 del TFUE.
In virtù di tali considerazioni, come ha osservato il Consiglio di Stato, va quindi rilevato che l'esercizio del diritto di trasposizione, una volta che al procedimento di decisione del ricorso straordinario sia stata riconosciuta natura giurisdizionale, e che dunque l'originaria motivazione fondata sul “favor iurisdictionis” non possa ormai più considerarsi attuale, equivale sostanzialmente ad una alterazione del giudice naturale e, sotto altro aspetto, ad una modificazione del giusto processo, e ciò soltanto per effetto di una richiesta avanzata unilateralmente da una sola delle parti, anche senza una valida ed apprezzabile giustificazione, così determinando peraltro un significativo ed ingiustificato svantaggio nelle parti più deboli del processo.
Quest'ultime, difatti, vedono la propria azione paralizzata per effetto soltanto dell'avvenuto esercizio della facoltà di trasposizione, la cui legittimità potrà essere esaminata soltanto dal giudice ad quem (il Tribunale Amministrativo Regionale), nel caso il ricorrente voglia proseguire riassumendo il processo in primo grado, pagando per giunta per la seconda volta un più elevato contributo unificato, e senza che sia prevista la possibilità di ripetere quanto già corrisposto, con evidente aggravamento del costo di accesso alla giustizia e delle modalità di espletamento del diritto di difesa.
In definitiva, si attribuisce in tal modo ad una soltanto delle parti un potere privo di alcuna logica corrispondente al diritto di difesa, tale da menomare in modo significativo le posizioni del ricorrente e delle restanti parti del giudizio.
Il rimedio del ricorso straordinario, al contrario, rappresenta un attuale, utile strumento di tutela dei cittadini nei confronti delle pubbliche amministrazioni, offrendo alcuni innegabili vantaggi rispetto al ricorso giurisdizionale, quali:
- il termine di presentazione doppio (centoventi giorni) rispetto al ricorso giurisdizionale, permettendo di esperirlo quando sono scaduti i termini per la proposizione di quest’ultimo, con indubbia facilitazione per i cittadini, specie se economicamente svantaggiati;
- la maggiore accessibilità, sotto l'aspetto economico, non essendo richiesto il patrocinio di un difensore tecnico, ma soltanto il versamento del contributo unificato;
- la celerità del relativo procedimento, che si svolge in unico grado sulla base di una istruttoria realizzata quasi interamente dalla pubblica amministrazione (art. 11 del d.lgs. n. 1199/1971).
In virtù di tali riflessioni, il Consiglio di Stato ha dubitato della compatibilità con il diritto comunitario della trasposizione in sede giurisdizionale, sotto vari profili.
Per un primo aspetto, il principio secondo cui “ ogni individuo ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge” (art. 47 della carta dei diritti fondamentali dell’unione europea, 2000/C 364/01) trova esplicito riconoscimento nella giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea.
Sicchè, il principio pienamente accolto sia nel diritto comunitario che in quello costituzionale nazionale, secondo cui nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge, non consente in alcun modo che l'individuazione dell'ufficio giudiziario avente giurisdizione e competenza ad esaminare una determinata controversia possa avvenire per effetto soltanto della scelta di una parte, e a maggior ragione per un mero calcolo di convenienza o di tattica processuale a vantaggio soltanto di una di esse.
Il Consiglio di Stato richiama anche al riguardo l’art. 54 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, concernente il divieto dell'abuso di diritto, precisando che tale norma non consente di interpretare alcuna delle disposizioni ivi contenute come suscettibile di limitare anche solo parzialmente le libertà e le garanzie ivi riconosciute.
In virtù di tali premesse il Consiglio di Stato in sede consultiva, con la decisione del 16.9.2015, ha rimesso alla Corte di Giustizia varie questioni pregiudiziali di compatibilità delle norme che consentono ad una sola delle parti del giudizio straordinario di imporre la trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario (artt. 10 DPR 1199/71 e 48 del Codice del processo amministrativo), con i principi contenuti all’art. 47, secondo paragrafo, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, al successivo art. 54 (là dove previene l'abuso del diritto), nonché all’art. 6 della CEDU.
Ove la Corte di Giustizia dovesse ritenere la non compatibilità delle norme con i principi comunitari sopra richiamati, l’istituto processuale della trasposizione cesserà di esistere, posto che com’è noto le sentenze della Corte di Giustizia che interpretano i Trattati internazionali e/o le Direttive comunitarie hanno lo stesso valore di quest’ultimi, e ciò comporta la doverosa immediata disapplicazione delle norme censurate da parte dei giudici nazionali.

 

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