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Art. 15 conferimento di incarichi direttivi ai magistrati

CONFERIMENTO DI INCARICHI DIRETTIVI AI MAGISTRATI. STOP AI RICORSI!

E’ stato recentemente pubblicato il DL 90/14, intitolato “Misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari” che oltre a contenere l’infelice ed irragionevole previsione dell’abolizione della sezione staccata del TAR Catania (di cui ci siamo già occupati), mostra altri significativi “arretramenti” sul piano degli strumenti di tutela.
Questa volta ne fanno le spese i magistrati, che vedono fortemente ridotte le possibilità di contestazione in sede giurisdizionale dei procedimenti di nomina inerenti il conferimenti degli incarichi direttivi e semi direttivi.
L’art 2 del DL 90/14 infatti così recita : Al secondo comma dell'articolo 17 della legge 24 marzo 1958, n. 195, dopo le parole: "del processo amministrativo", sono aggiunti i seguenti periodi: "Contro i provvedimenti concernenti il conferimento o la conferma degli incarichi direttivi e semi direttivi, il controllo del giudice amministrativo ha per oggetto i vizi di violazione di legge e di eccesso di potere manifesto………….”
Ciò significa con ogni evidenza che la materia dei conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi, già com’è noto caratterizzata da amplissima discrezionalità e quindi molto difficilmente censurabile innanzi al Giudice Amministrativo, diventa pressoché insindacabile, poiché l’ulteriore restringimento ai soli vizi di “violazione di legge” e/o di un “eccesso di potere” che però per assumere rilievo deve essere proprio “manifesto”, rappresentano un segnale ben chiaro: STOP ai ricorsi contro i provvedimenti del CSM in materia di conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi.
Tale norma tuttavia, non pare pienamente compatibile con i principi sul giusto processo contenuti all’art. 6 della CEDU.
L’art 6 della CEDU invero, afferma com’è noto il principio generale del “giusto processo”, ma in realtà esprime una serie di principi che ben possono essere estesi anche al “giusto procedimento amministrativo”, nel senso che quei principi si vanno ormai diffondendo anche in ambiti extra giurisdizionali.
Ciò premesso, si osserva che per la Corte Europea ed ai fini dell’applicazione dell’art 6 CEDU, la nozione di “tribunale” è stata ritenuta riferibile a qualunque autorità cui sia attribuito il potere di emanare provvedimenti vincolanti, idonei ad incidere sulla sfera soggettiva di un privato. In tal modo, la Corte di Strasburgo è giunta ad estendere l’area di operatività dei principi sull'equo processo tanto al processo amministrativo ossia al momento giurisdizionale di tutela dei diritti nei confronti delle pubbliche amministrazioni quanto al procedimento amministrativo, che si svolge invece proprio davanti alle pubbliche amministrazioni.
Di conseguenza, anche nel procedimento amministrativo devono essere rispettate le garanzie proprie dell’equo processo, in primis, quelle di imparzialità e di indipendenza in capo all’organo munito di poteri decisori: caratteristiche che spesso, però, non sono proprie della pubblica amministrazione.
La Corte, tuttavia, adottando un approccio flessibile, ha riconosciuto che carenze di tal genere nel procedimento amministrativo possono, in linea di massima, essere compensate dall’imparzialità e indipendenza del Giudice davanti al quale sia possibile fare ricorso contro la decisione amministrativa.
Perché tale meccanismo di compensazione possa operare, occorre però che questo Giudice abbia un effettivo potere di riesaminare integralmente la decisione amministrativa, arrivando anche a compiere scelte propriamente discrezionali.
Tale conclusione, ha effetti rilevantissimi nella prospettiva del diritto amministrativo italiano, laddove al Giudice, invece, è normalmente precluso il sindacato sulla discrezionalità tecnica esercitata dalla Pubblica Amministrazione.
A dispetto del tradizionale approccio nazionale, le conclusioni elaborate dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono tuttavia vincolanti per i giudici italiani. Non solo, infatti, l’Italia aderisce alla CEDU, ma i medesimi principi dell’art. 6 CEDU sono, da un lato, riprodotti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e, dall’altro, sono stati accolti ed applicati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Ciò, oltretutto, in un contesto europeo che riconosce sempre più frequentemente l’essenzialità della garanzia di rimedi giurisdizionali effettivi.
Tali principi, rischiano di esser travolti e vanificati ogniqualvolta anziché ampliare la sfera di cognizione del Giudice Amministrativo, si tenta di restringerne in ogni modo la sfera d’azione.
Nel caso che ci occupa, il già tradizionale sindacato “debole” del Giudice Amministrativo sulle scelte del CSM, rischia di diventare un sindacato “debolissimo”, applicabile solo a casi rarissimi ed eclatanti.
L’art 6 della CEDU tuttavia, con i successivi paragrafi dedicati più specificamente alla materia penale, individua vari principi volti ad assicurare alle parti in causa che una decisione che li riguardi si assunta nel rispetto di determinate garanzie procedurali, e, in specie, nel corso di un processo capace di realizzare una pienezza di contraddittorio tra le parti.
Tale disposizione, che espressamente si riferisce solo al processo civile ed a quello penale, ha progressivamente acquisito, grazie all’opera interpretativa della Corte Europea dei Diritti dell’uomo, una importanza fondamentale anche per le controversie pubblicistiche.
Nella visione sostanziale dei giudici di Strasburgo in altri termini, l’effetto modificativo della realtà prodotto da un atto amministrativo non è diverso da quello che deriva da una sentenza.
Ciò significa che il Magistrato pretermesso nella scelta selettiva per il conferimento di un rilevante incarico, deve poter validamente contestare in sede giurisdizionale innanzi al competente Giudice Amministrativo, con pienezza di strumenti di tutela ed al pari di tutti gli altri cittadini che impugnino una procedura concorsuale che vede coinvolti i loro interessi, anche gli atti e le valutazioni compiute dal CSM.
In altri termini, la rilevanza dell’incidenza dell’art 6 CEDU sul procedimento amministrativo e sul giudizio amministrativo, comporta l’affermazione anche in tali giudizi di un concreto principio di “parità delle armi” e della realizzazione di un “adversarial proceeding”, ossia di un contradditorio pieno e paritario, con ampiezza dei poteri valutativi affidati all’Autorità giurisdizionale.
Altrimenti, la reale possibilità di discernere tra (insindacabile) “scelta discrezionale” ed “arbitrio” diventa molto complessa, e viene anche compromesso quel principio, contenuto all’art 13 della CEDU, che garantisce a tutti i cittadini (e quindi anche ai magistrati) la possibilità di promuovere un “ricorso effettivo”, che significa un ricorso di fronte ad un’Autorità giurisdizionale che abbia pieni poteri ed adeguati e proporzionati strumenti di tutela.
Se sarà convertito in legge, si dovrà quindi verificare la tenuta dell’art. 2 in questione, non dimenticando che ogni profilo di contrasto delle norme interne con le norme della CEDU provoca anche un contrasto con gli impegni internazionali assunti dallo Stato Italiano ai sensi dell’art 117 Costituzione (con possibilità quindi di censurare la norma interna per il contrasto con le norme della CEDU).

Carmelo Barreca
Silvio Motta

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