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Danno da pratica medica estetica

Il tema dell'informazione è sicuramente centrale in parecchi campi professionali ad alta specializzazione (e, spesso, correlato anche ad alti profili di rischio). In certi casi infatti, il professionista (sia esso un legale, un banchiere, un medico o, comunque, un soggetto qualificato dalla specialità della professione svolta) può incorrere in responsabilità per il sol fatto di aver reso una errata informazione, o di non averla resa del tutto o di averla resa in forma incompleta. In materia di responsabilità medica, la giurisprudenza si è occupata molte volte di definire i confini fra i comportamenti fonte di responsabilità e l'area indefinita dell'irrilevanza giuridica. Sul punto, resta ovviamente ferma la regola della responsabilità del medico nella ipotesi in cui l'intervento non sia svolto secondo la diligenza professionale richiesta, da valutare secondo la natura dell'attività esercitata (e, quindi, secondo la migliore scienza medica). Ma anche nei casi in cui la prestazione medica è stata ben eseguita, la giurisprudenza individua alcuni comportamenti doverosi del medico che, se omessi, possono essere fonte di responsabilità risarcitoria. Fra tali comportamenti, assume un ruolo primario l’obbligo – non solo deontologico - di fornire al paziente una corretta informazione, speculare al corrispondente diritto del paziente ad esprimere un consenso informato, considerato quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico (considerato diritto insopprimibile della persona dalla Corte Costituzionale con sentenza numero 438/2008). Il diritto ad essere informati è quindi ormai una componente essenziale dei diritti del paziente, e ad esso corrisponde un preciso e puntuale dovere del professionista di fornire tutte le necessarie informazioni, affinché il cd “consenso informato” venga reso dal paziente con piena cognizione e dopo aver effettivamente ricevuto le fondamentali informazioni al riguardo. Un tale diritto è ovviamente tanto più forte quanto meno necessario è l'intervento medico ai fini della sopravvivenza del paziente. Pare evidente infatti che il potere di “scelta” (comunque sempre presente nel paziente) si affievolisca in materia di consenso informato allorquando ad esempio in chirurgia d’urgenza si deve intervenire su organi vitali (cuore, polmoni, etc). Ben diverso è il caso in cui la prestazione medica afferisca a casi in cui l’intervento non è necessario, ma bensì richiesto per un mero miglioramento. Intendiamo riferirci alle frequenti operazioni o micro-interventi in materia di pratica medico-estetica. In questi casi l’espansione del diritto del paziente al consenso informato è massima, posto che il paziente vanta il più ampio diritto ad essere informato correttamente sia delle finalità dell’intervento sia dei rischi dello stesso, in modo da rendere il proprio consenso in piena consapevolezza ed avendo potuto soppesare e valutare il rapporto rischi/benefici, rapporto che se notoriamente propende inevitabilmente per i “benefici” in caso di interventi necessari, va invece attentamente valutato e ponderato qualora l’intervento non sia necessario alla cura o addirittura al mantenimento delle funzioni vitali. Conseguentemente, anche nella ipotesi in cui la prestazione medica sia stata svolta secondo la diligenza necessaria, ma essa abbia comunque condotto ad un risultato negativo (ossia ad un peggioramento dell'aspetto fisico del paziente), il medico può essere chiamato a pagarne le conseguenze allorché non abbia correttamente informato il paziente e, conseguentemente, questi abbia reso un consenso “informato” viziato dalla mancata conoscenza dei rischi dell'intervento. Si tratta di un orientamento da ultimo assunto dalla Corte di Cassazione con recentissima pronunzia (numero 12830/2014, dep. in data 6 giugno 2014), che ritiene come il dovere di informazione "(...) è particolarmente pregnante nella chirurgia estetica, perché il medico è tenuto a prospettare in termini di probabilità logica e statistica al paziente la possibilità di conseguire un effettivo miglioramento dell'aspetto fisico, che si ripercuota anche favorevolmente nella vita professionale e in quella di relazione (cass. 6.10.1997 n. 9705; Cass 1985 n. 4394 (...)".

Carmelo Barreca
Silvio Motta

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