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Ne bis in idem ed equo processo

La vicenda dei cd. "swap Ifil-Exor", che ha visto sotto vari profili interessati i vertici delle società coinvolte nell'operazione di rinegoziazione, è giunta innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale ha censurato le procedure sanzionatorie poste in essere dall'ordinamento interno italiano.
La vicenda ha avuto un notevole risalto mediatico: la Exor s.p.a., la società Giovanni Agnelli s.a.s. ed il presidente Gianluigi Gabetti, unitamente all'avvocato Franzo Grande Stevens sono stati accusati di non aver menzionato in un comunicato stampa imposto dalla Consob un piano di rinegoziazione di un contratto finanziario allora in via di conclusione tra la Exor e Merrill Linch International Ltd.
Il comportamento veniva sanzionato sotto più profili.
Sotto il profilo strettamente amministrativo (almeno nella interpretazione Consob), l'ufficio Insider Trading della Consob contestava agli interessati la violazione dell'articolo 187ter del TUF (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, D. Lgs. 58/1999) per il comportamento di diffusione di informazioni false o fuorvianti in merito agli strumenti finanziari.
La Consob, all'esito di un breve procedimento comminava ai ricorrenti pesanti sanzioni amministrative pecuniarie ed interdittive.
Le sanzioni venivano relativamente ridotte dalla Corte d'Appello di Torino e, giunto il giudizio in Cassazione, venivano sostanzialmente confermate.
Gli stessi soggetti hanno subito anche un procedimento penale, nel corso del quale è stato loro contestata per gli stessi comportamenti la violazione dell'articolo 185 del TUF (rubricato "Manipolazione del mercato"), volto al contrasto di attività di diffusione di notizie false o, comunque, di operazioni simulate o artifici idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari.
Il procedimento penale andò avanti a fasi alterne, sino a che la Corte d'Appello di Torino, con sentenza del 28 febbraio 2013, ha condannato alcuni degli interessati per il reato richiamato.
Nel corso di entrambi i procedimenti gli interessati hanno a più riprese sollevato la questione della violazione del principio del ne bis in idem allorché, si assumeva, venivano imputati e condannati, innanzi a più autorità, per i medesimi comportamenti.
In pendenza del ricorso di Cassazione, la CEDU veniva investita della questione.
La Corte di Strasburgo, con la recente sentenza depositata il 4.3.2014 (casi 18640/10, 18647/10, 18663/10,18668/10 e 18698/10) superando la distinzione formale (notoriamente rigida per il diritto italiano) fra "amministrativo" e "penale" ha sposato una tesi di carattere sostanziale, sulla base dell'asserzione che una determinata sanzione, allorché sia "troppo severa" per intensità e valore, rientri sostanzialmente nella materia penale, a prescindere dalla definizione data dal legislatore interno.
Nel caso in ispecie la Corte ha ritenuto la severità sia delle sanzioni interdittive (tali e tante da ledere il credito e la rispettabilità degli interessati), sia delle ammende previste dall'articolo 187ter del TUF.
Una tale valutazione ha avuto molteplici ricadute.
Sotto un primo profilo, ritenuta la natura "penale" sia delle sanzioni comminate dalla Consob sia di quelle comminate dalla Corte d'Appello di Torino, ha aderito alla tesi dei ricorrenti, accertando una violazione del principio del ne bis in idem.
In altri termini, si è precisato che l’articolo 4 del Protocollo n. 7 vieta che un soggetto possa essere giudicato e condannato due volte per fatti che sono sostanzialmente gli stessi.
Si tratta di principi ben conosciuti anche dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale ammette che venga comminata per gli stessi fatti una doppia sanzione fiscale e penale, ma solo a condizione che la prima sanzione non sia di natura penale (sentenza Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, in materia di imposta sul valore aggiunto).
Nel caso in ispecie, la CEDU ha censurato che i ricorrenti abbiano subito per un unico comportamento (la diffusione di false informazioni sociali) due differenti procedimenti e due differenti sanzioni "penali".
Sotto altro profilo, peraltro la natura "penale" delle sanzioni Consob ha indotto la Corte di Strasburgo a ritenere inidoneo anche il procedimento seguito innanzi ai propri organi, e ciò sotto molteplici aspetti (carenza di un processo scritto, mancata fissazione di udienza pubblica, mancato rispetto dei diritti, carenza di distinzione fra fase istruttoria e fase decisoria).
Peraltro, si è altresì tenuto in considerazione che l'ufficio Insider Trading della Consob, unitamente all'ufficio sanzioni e la commissione stessa appaiono agli occhi della Corte null'altro "(....) che suddivisioni dello stesso organo amministrativo, che agiscono sotto l'autorità e la supervisione di uno stesso presidente. Secondo la Corte (...)".
Una tale confusione di organi, a parere della CEDU, non può ritenersi compatibile con il diritto ineludibile del cittadino alla terzietà ed imparzialità del Giudice penale (articolo 6 § 1 della Convenzione, vd. anche Piersack c. Belgio, 1° ottobre 1982, §§ 30-32, serie A n. 53, e De Cubber c. Belgio, 26 ottobre 1984, §§ 24-30, serie A n. 86, entrambe richiamate in pronunzia).
I principi esposti e trattati appaiono davvero interessanti: la CEDU infatti mostra di non condividere la tesi secondo la quale, per il solo fatto di qualificare alcune sanzioni come "amministrative", queste possano essere comminate, per lo stesso comportamento, in cumulo ed aggiunta alle sanzioni penali.
Al contrario, nel caso in cui per un determinato comportamento il diritto interno preveda sanzioni talmente severe da ritenersi "penali" si afferma il diritto ineludibile del cittadino a subire un unico procedimento sanzionatorio innanzi ad un giudice terzo, in occasione del quale sia garantito ogni diritto di difesa.
Non vi è dubbio, peraltro, che un simile punto di vista "rivoluzionario" cozza profondamente con l'ordinamento italiano, sopratutto con riguardo a materie (si pensa in prima istanza a quella fiscale), ove il medesimo comportamento venga sanzionato sotto molteplici profili.

Carmelo Barreca
Silvio Motta

Giudicare due volte medesimi comportamenti incompatibile con l’art. 6 Cedu e con i principi della Corte di Strasburgo

Ad esempio, uno dei casi che prossimamente giungerà con ogni probabilità alla Corte di Strasburgo, riguarda la sovrapposizione tra la giurisdizione in materia di sanzioni e penali contrattuali previste da un rapporto concessorio in materia di servizio pubblico (nella specie si tratta della raccolta del gioco tramite apparecchi da intrattenimento), che ricade nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e la giurisdizione della Corte dei Conti che, in relazione ai medesimi comportamenti, ritiene individuabili profili sanzionatori di danno erariale (nella specie del cd. “danno da disservizio”), confermando la propria giurisdizione.
Anche qui, come nel caso risolto dalla CEDU, si è in presenza di due sistemi giurisdizionali che agiscono ed accertano autonomamente responsabilità su comportamenti illeciti del concessionario pubblico, giudicando due volte sui medesimi comportamenti (rilevanti al contempo sia sotto il profilo di violazioni di obblighi concessori sia sotto il profilo di violazioni di obbligo di servizio pubblico), dando luogo ad una duplicazione che non pare compatibile con l’art 6 CEDU e con i principi affermati dalla Corte di Strasburgo.

Carmelo Barreca
Silvio Motta

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