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Fecondazione, sì all’eterologa

ROMA - La disciplina degli ausilii medici alla procreazione costituisce da sempre un aspetto delicato e controverso, vero banco di prova dei governi dell’ultimo trentennio: le remore di un’ampia parte dell’elettorato hanno avuto pesanti riflessi sulle scelte del Legislatore che, per un lungo periodo di tempo, ha preferito omettere ogni intervento in materia.
I timori, in effetti, non erano del tutto ingiustificati: la questione pone molteplici problematiche, dalla paventata mercificazione del materiale genetico umano al riconoscimento del diritto di conoscere la propria discendenza genetica (nel caso di donatore o donatrice anonimi), o al problema (finora non esplorato) del realizzarsi di vincoli di parentela atipici e sconosciuti.
Il mancato intervento del Legislatore, però, ha certamente aggravato la situazione, nella misura in cui si è lasciato a medici e centri specializzati la totale libertà su cosa si potesse fare e cosa no.
Solo nel 2004, il legislatore ha regolamentato la materia con la pur controversa legge 40.
Tuttavia la norma, pur nel dichiarato intento di “favorire la soluzione di problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana” (così l’articolo 1) ha imposto limiti ben considerevoli e, sotto vari aspetti, ampiamente contestati, alle pratiche mediche di ausilio alla procreazione.
In particolare, il limite più controverso (anche se non l’unico) è stato senz’altro il divieto di ricorrere a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo (ossia attraverso l’utilizzo di gameti estranei alla coppia - così l’articolo 4 della norma).
In buona sostanza, il vincolo azzerava ogni possibilità di procreazione alle coppie sterili o infertili (ossia a quelle coppie che, per problemi medici, non erano in grado di procreare).
La questione ha avuto una vasta eco mediatica, fino ad essere oggetto di un controverso referendum popolare nel 2005 (nei cui confronti forze politiche di taglio trasversale hanno avuto un atteggiamento quanto mai contraddittorio).
Nelle more, si è di fatto purtroppo alimentato un fenomeno di “turismo procreativo”: le coppie disposte ad affrontare i sacrifici personali ed economici di una “trasferta” avevano modo di tentare opportunità vietate in Italia, ma estremamente comuni e ampiamente utilizzate in altri paesi europei.
Agli altri invece, e soprattutto ai non abbienti, veniva impedito ogni accesso alle più evolute chances di procreazione date dalla moderna tecnica medica.
Nel corso degli anni, diversi Tribunali hanno quindi giustamente sollevato questione di legittimità della norma per contrasto con parecchi articoli della Costituzione(in particolare, Milano, Catania e Firenze da ultimo), ed in particolare con gli articoli 2 (tutela dei diritti inviolabili dell’individuo), 3 (diritto all’uguaglianza formale e sostanziale), 29 (diritti della famiglia), 31 (protezione della maternità e dell’infanzia) e 32 (diritto alla salute).
Infine, è recentemente intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza 162/14, che pone definitivamente fine al divieto della metodica in questione, accogliendo in buona sostanza le motivazioni dei giudici rimettenti.
La sentenza, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 18 giugno 2014, ha sancito l’incostituzionalità della norma nella parte in cui (Art. 4) stabilisce il divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, nella ipotesi in cui sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili.
La tesi che tende a limitare la pratica (condivisa, pare, dal Ministero competente) assume che la sentenza della Corte Costituzionale avrebbe procurato una “lacuna” di disciplina. In altri termini, ritenuto che il divieto di inseminazione eterologa sarebbe venuto meno, il nostro ordinamento sarebbe in qualche misura “insufficiente” o “immaturo” (al pari dei centri specializzati eventualmente interessati, che in buona sostanza vengono ritenuti poco più che degli esperimentatori da tenere a freno) e, come tale, bisognoso di nuova disciplina. Fino all’emissione di tale disciplina, la pratica sarebbe ancora vietata (con buona pace della Costituzione).
Tale tesi restrittiva non pare fondata: l’ordinamento italiano è sopravvissuto benissimo fino al 2004 in assenza di disciplina sulla materia.
Del resto, anche l’abolizione del divieto è disciplina in sé stessa: fatta salva la normativa posteriore (che comunque va emessa in conformità al disposto della sentenza) la vera notizia rimane che, piaccia o non piaccia, l’inseminazione eterologa in Italia è una pratica medica lecita (o comunque non vietata), essendo stata dichiarata incostituzionale (ricordiamo: con effetto retroattivo) la norma che conteneva tale divieto.
Alcuni dei passaggi della sentenza appaiono affrontare anche i temi di diatribe che risalgono sin dai tempi dell’emissione della norma.
In primo luogo, infatti, la Corte accerta che il diritto della coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, che è riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost., in quanto concerne la sfera privata e familiare.
Come tale, la libertà di avere un figlio viene definita incoercibile anche da parte del Legislatore statale.
In questo senso, il divieto assoluto della pratica in Italia di tecniche di procreazione medicalmente assistita viene ritenuto ingiustificato e, come tale, non conforme ai principi della Carta Costituzionale.
Pur tuttavia, va tenuto in buon conto che la Corte ha limitato l’incostituzionalità del divieto di cui alla norma alle ipotesi di coppie sterili o infertili. Ritenuta la delicatezza della materia, la notizia della decisione della Corte ha generato una ridda di reazioni (solo alcune delle quali condivisibili) il cui focolaio si è riavviato da ultimo alla notizia delle prime gestazioni in corso (si dice) per inseminazioni eterologhe compiute nel territorio nazionale. Non sono mancate, invero, voci “scandalizzate”, anche contro i medici “responsabili” di aver utilizzato la pratica (in sostanza adeguandosi semplicemente al chiaro disposto della Corte Costituzionale).

L'esperto in biodiritto: “Materia che non si può trattare mediante decreto”

ROMA - “Non si possono disciplinare temi sensibili con decretazione d’urgenza”. Lo afferma, in relazione alla fecondazione eterologa, l’avvocato Gianni Baldini, docente di Biodiritto all’Università di Firenze. “Non è mai successo - rileva Baldini in riferimento all’annuncio da parte del ministero della Salute di un prossimo decreto legge sulla materia - che questioni eticamente sensibili siano decise con Decreto Legge. La natura di tali disposizioni, infatti, deve essere necessariamente flessibile esposta com’è ai continui mutamenti ed evoluzioni medico scientifici. Dunque è proprio lo strumento legislativo a risultare inadeguato essendo necessaria una regolazione leggera e in grado di essere continuamente rivista”. Ciò, sottolinea, “è tanto più vero se si pensa che sono ancora pendenti alla Corte Costituzionale due questioni che potrebbero demolire altre due parti essenziali della legge 40/04, quali l’accesso delle coppie fertili portatrici di patologie genetiche alla PMA (per le quali l’Italia è già stata condannata dalla Corte europea) e l’utilizzabilità degli embrioni soprannumerari per la ricerca scientifica. In caso di esito positivo, le modifiche introdotte per decreto legge alla Legge 40 andrebbero nuovamente modificate con altro decreto’’. Secondo Baldini, inoltre, “l’intenzione di ridiscutere sulla questione dell’anonimato non risulta affatto necessaria, essendo la questione già disciplinata dalla legge 40/04 e da altre norme già esistenti, in primis la legge sull’adozione 183/84”. L’impressione “da alcuni espressa - conclude - è che l’iniziativa sia puramente strumentale a introdurre deroghe che consentendo di conoscere l’identità dei soggetti (donatore e ricevente) in contrasto con quanto previsto in tema di tracciabilità dalle direttive europee recepite dall’Italia e che prevedono un rigoroso anonimato nella donazione di organi, vanificherà la metodica dell’eterologa. è la stessa Consulta che richiama questa normativa”.

Carmelo Barreca
Silvio Motta

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