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Responsabilità risarcitoria della P.A.

La teoria della responsabilità è volta alla individuazione del soggetto sul quale ricade il costo della lesione di una posizione soggettiva, nonché alla descrizione delle condizioni al ricorrere delle quali tale costo deve essere tollerato.
In concreto, la questione della responsabilità della Pubblica Amministrazione è questione pacificamente superata con riguardo alle ipotesi in cui la PA abbia arrecato danni nel compimento di un comportamento tenuto quale normale operatore privato, con ciò ledendo un diritto soggettivo
(Esempio: l'auto del Presidente della Repubblica circola secondo le medesime regole del Codice della strada dei comuni cittadini e, nel caso in cui investa qualcuno, rimane sottoposta alle medesime regole di imputazione della responsabilità e, come tale, risarcisce gli eventuali danni al danneggiato).
Diversamente, l'affermazione di una responsabilità risarcitoria nel caso in cui la pubblica amministrazione emetta provvedimenti amministrativi illegittimi, idonei ad arrecare un danno ai diritti del cittadino costituisce una conquista degli ultimi due secoli.
Sino all'unità d'Italia, infatti, la tutela giurisdizionale avverso i provvedimenti amministrativi illegittimi era incentrata nella richiesta della sola eliminazione del provvedimento amministrativo illegittimo (e dannoso), e null'altro.
La tutela veniva graziosamente concessa al cittadino da una PA che era pura espressione dello stesso potere che aveva arrecato il danno. Esulava invece ogni possibilità di ottenere una qualsiasi forma di risarcimento.
Solo in un secondo momento (a spese di un sensibile lavorìo giurisprudenziale e, più raramente e sporadicamente, legislativo) si è giunti alla conclusione che anche la PA che abbia emesso provvedimenti illegittimi possa esser costretta a risarcire il danno procurato ai cittadini destinatari del provvedimento, qualora ciò avesse violato un loro preciso e ben individuato diritto soggettivo.
Si riteneva tuttavia, sino a non molto tempo addietro, che una simile lesione potesse configurarsi solo quando l’Amministrazione agiva senza averne i poteri (ossia “sine titulo”) oppure quando agisse in forma privatistica (“iure privatorum”), ritenendosi invece che quando la P.A., avendone il potere, emanasse atti illegittimi, a fronte di tale potere si configuravano generalmente interessi legittimi.
Si riconosceva tuttavia in questi casi un limitato diritto al risarcimento quando l’atto illegittimo della P.A. avesse colpito e violato i cd “diritti soggettivi degradati ad interessi legittimi”, ossia quelle situazioni in cui il cittadino era titolare di un diritto (es: di proprietà) e tale diritto veniva ad essere illegittimamente degradato per effetto di un atto amministrativo illegittimo (esempio: un illegittimo inserimento di un fondo in un piano particolareggiato di esproprio).
Un significativo radicale mutamento si è poi avuto con la storica sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n° 500 del 1999, con cui si è aperta in via giurisprudenziale la possibilità – in forma generalizzata – della risarcibilità anche degli interessi legittimi, ossia di tutti quelli interessi rilevanti per i cittadini tutelati in forma indiretta e generalizzata.
Tale importantissima pronuncia, che ha dato il via all’affermazione in via generale del diritto al risarcimento del danno, ha peraltro avuto il merito di riavvicinare la giurisprudenza nazionale ai principi della giurisprudenza comunitaria e degli altri Stati europei, ove non si era mai dubitato che dalla lesione di una “situazione giuridico soggettiva meritevole di tutela” eventualmente lesa da atti illegittimi della P.A., scaturisse il diritto al risarcimento del danno, anche per violazione del principio della tutela dell’affidamento che il cittadino deve poter riporre nella correttezza degli atti della P.A., principio questo cardine del diritto comunitario.
Forse per contenere un eccessiva richiesta di risarcimenti, il Legislatore ha tuttavia cercato di porre dei “paletti” procedimentali all’azione risarcitoria.
Da ultimo, la normativa già emessa in materia è stata integralmente recepita e riassunta in via generale in occasione dell'emissione dell’articolo 30 del Codice del Processo Amministrativo (D. Lgs. N. 104/2010), nella parte in cui si prevede la possibilità per l’interessato di richiedere la condanna al risarcimento del “danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria”.
Il cittadino che ritenga che una propria posizione soggettiva (in questo caso, definita di "interesse legittimo"), sia stata illegittimamente lesa da un provvedimento amministrativo, ha quindi il potere di chiedere, in aggiunta o in alternativa all'annullamento in sede giurisdizionale del provvedimento illegittimo, anche il conseguente risarcimento.
La norma, però, subisce delle limitazioni e direttive, inserite nello stesso codice del processo amministrativo.

Possibile chiedere il risarcimento solo entro 120 giorni dal fatto o dalla conoscenza del provvedimento

In primo luogo, ai sensi del medesimo articolo 30 del D.Lgs. 104/2010, il danneggiato può chiedere il risarcimento del danno solo entro il termine perentorio e decadenziale di centoventi giorni "dal giorno in cui il fatto si è verificato" o, altrimenti, "dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.”
Nel caso in cui l'interessato abbia già impugnato il provvedimento innanzi al Giudice Amministrativo, il termine viene posticipato alla scadenza del termine di centoventi giorni dalla definizione del relativo giudizio.
In ogni caso, appare evidente che la tutela del cittadino privato sia fortemente compressa ed ancorata ad una valutazione relativamente rapida che, in ogni caso, presenta comunque componenti di rischio.
Il termine infatti, viene immediatamente percepito ove il provvedimento amministrativo lesivo (che sia la concessione alla installazione di un'edicola, il rigetto di una concessione edilizia o l'approvazione di una graduatoria di una gara) venga comunicato direttamente all'interessato.
Non mancano però casi in cui il provvedimento venga altrimenti comunicato (attraverso la pubblicazione su albi o gazzette o, ultimamente, anche sul sito internet dell'amministrazione competente).
In ogni caso, il cittadino gode di un tempo relativamente ristretto per l'attivazione del diritto al risarcimento. Qualora si abbiano dubbi quindi, è in ogni caso buona norma di prudenza recarsi immediatamente presso uno studio legale specializzato per la valutazione delle varie opzioni di tutela, e ciò sia che si voglia annullare il provvedimento, sia che si voglia anche solo ottenere il risarcimento dei danni subiti.

L’inosservanza del termine del procedimento obbliga la Pa anche al versamento di un indennizzo

Del resto, il solo e semplice fatto della illegittimità e lesività del provvedimento (che, in certi casi è immediatamente percepibile anche dal cittadino) non comporta necessariamente l'accoglimento dell'istanza di risarcimento.
Il provvedimento illegittimo, infatti, deve anche aver comportato una lesione economicamente apprezzabile dal Giudice. A quest'ultimo, ai sensi dell'articolo 30 del Codice del Processo Amministrativo, spetta il compito ultimo di valutare “tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti”.
Non è escluso, infatti, che l'istanza di risarcimento venga esclusa allorché il Giudice valuti che i danni subiti dal cittadino erano evitabili con l'uso dell'ordinaria diligenza.
In definitiva, anche posteriormente al riconoscimento legislativo del diritto al risarcimento del danno arrecato dalla PA nell'esercizio dei suoi poteri autoritativi, ciascuna fattispecie concreta presenta diverse variabili (dalla effettiva lesività del comportamento sino alla valutazione delle capacità del cittadino di evitare il danno subito), sicché il diritto al risarcimento non può essere considerato né automaticamente conseguente alla illegittimità del provvedimento né, tantomeno, scontato.
Di recente si sta infine affermando anche un vero e proprio diritto del cittadino al rispetto dei tempi del procedimento, nella considerazione che la P.A. non possa remorare – come avveniva in passato – le istanze del cittadino (ove vi sia ovviamente la legittimazione a formularle ed un sottostante interesse legittimo “qualificato” ad ottenere la risposta).
Tale diritto viene attuato sia imponendo alla P.A. di individuare e comunicare al cittadino chi sia il “responsabile del procedimento”, prevedendo tempi ben definiti per l’evasione delle pratiche ed affermando, oltre al risarcimento in caso di ritardo ingiustificato, specifiche sanzioni per il responsabile del procedimento responsabile del ritardo.
In via generale, l'articolo 2 della legge 241/1990 impone che i procedimenti amministrativi delle amministrazioni pubbliche statali e degli enti pubblici nazionali devono concludersi entro il termine di trenta giorni dall'avvio (fermo restando che la normativa può prevedere un termine differente, tenuto conto delle peculiarità delle relative attività istruttorie da compiersi).
Il successivo articolo 2bis prevede in via corrispondente che l'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento obbliga l'Amministrazione competente non solo al risarcimento del danno ingiusto subito dal destinatario, ma anche al versamento di un indennizzo (ai sensi della recentissima novella introdotta con il D.L. 69/2013 - cd. "Decreto del Fare" -, conv. con L. 98/2013, ed applicabile solo ai procedimenti successivamente introdotti), dovuto a prescindere dal danno, per il mero dato di fatto del mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento.
Si tratta di profili di riforma invero epocali, nella misura in cui non si rivolge alla P.A. il (solo) rimprovero di aver agito illegittimamente ma, al contrario, di non aver agito tempestivamente.
Ovviamente il danno procurato al privato e risarcito dalla P.A., potrebbe ridondare in danno del funzionario responsabile.
L'articolo 28 della Costituzione, per come attuato dall'art. 23 del d.P.R. n. 3 del 1957, dispone infatti la responsabilità civile personale dei funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per i danni inferti con dolo o colpa grave.
Il punto, peraltro, è trattato con lodevole durezza dalle Corti di Giustizia, nella misura in cui si tende a punire da ultimo non solo le ipotesi di macroscopiche inosservanze dei doveri di ufficio o di abuso delle funzioni, ma anche nel caso di cui (per come spesso avviene) non si faccia uso della diligenza, della perizia e della prudenza professionali esigibili in relazione al tipo di servizio pubblico o ufficio rivestito (così Cass. 4587/2009).
Il rispetto della durata del procedimento ha quindi acquisito uno status giuridico rilevantissimo, su cui si misura l’efficienza ed imparzialità della P.A., e si spera che possa servire ad arginare i soliti favoritismi (es accelerazione e definizione della pratica di un “amico” a scapito delle altre), oltre ad introdurre nella coscienza di tutti i dipendenti pubblici la consapevolezza che bisogna fare tutti insieme uno sforzo complessivo per migliorare l’efficienza in tutti i settori della P.A., poiché l’eliminazione dei ritardi – unitamente ad uno snellimento e semplificazione della burocrazia – rappresenta una grande riforma che si può realizzare “ a costo zero” con immensi benefici.
E grazie a tali norme, può concludersi affermando che i cittadini hanno un valido strumento giuridico di tutela e di controllo diretto ed immediato sull’operato della P.A.

Carmelo Barreca
Silvio Motta

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